Gian Luigi Nicola: «Sono uscito vivo da una tomba chiusa»

Nel 1975 trascorse una giornata nella tomba di Nefertari, chiusa involontariamente dal custode egiziano

CRISTIANA LUONGO

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Gian Luigi realizzò il progetto per il restauro della sfinge, di cui si vede la testa

ARAMENGO – Torniamo a parlare della famiglia Nicola, che da tre generazioni si dedica al restauro di opere antichissime e beni culturali di inestimabile valore. Questa settimana vogliamo presentarvi Gian Luigi Nicola, figlio dell’indimenticato Guido, specializzato nel restauro conservativo di affreschi, opere lapidee e in terracotta e nel recupero di reperti archeologici, soprattutto egizi. Artista a 360°, Gian Luigi collabora con il Museo Egizio di Torino fin dal 1967, (anno in cui partecipò alla ricostruzione e al restauro del Tempio di Ellesija) per il quale ha restaurato oltre 400 sarcofagi lignei, più di 900 vasi e manufatti fittili, oltre a numerosi monumenti lapidei. Grazie a una profonda conoscenza delle tecniche e dei materiali usati nell’antichità, il dott. Nicola ha ricevuto numerosi incarichi da parte di Soprintendenze italiane e organi di tutela stranieri, specialmente egiziani. E proprio in Egitto, insieme alla moglie Gianna Tognin, Gian Luigi visse la particolare esperienza che ci racconta su questa pagina.

Nel 1975 rimase chiuso nella tomba di Nefertari. Ci racconta quell’esperienza?
Dopo aver ricevuto la nomina dal governo egiziano, elaborai un progetto per la conservazione della tomba di Nefertari, che fu tra le spose più amate del faraone Ramses II. Insieme a mia moglie andai dunque nella Valle delle Regine, a Tebe Ovest, per eseguire i primi rilievi. L’ispettore delle Antichità ci accompagnò alla camera funeraria, dopo aver percorso una ripida e lunga scalinata che ci portò a decine di metri sottoterra. Una volta entrati nell’ultima sala del sarcofago, l’ispettore se ne andò per recarsi a un altro appuntamento, dicendoci che sarebbe tornato qualche ora più tardi. Ma dopo pochi minuti sentimmo uno strano cigolio, la porta si chiuse e si spense la luce. Per fortuna avevamo una pila, ma la luce fioca che emanava non era sufficiente a placare la sensazione di sentirsi chiusi in una tomba. Provammo a chiamare aiuto, a battere sulla porta, ma nulla. Erano le 10 del mattino, e decidemmo di occupare il nostro tempo lavorando al progetto per il restauro della tomba, sperando che qualcuno da lì a poco tornasse ad aprire la porta.

Quando vi tirarono fuori?
Solo nel pomeriggio tardo. Risentimmo il cigolio, la porta si aprì e la luce si riaccese. Ricordo ancora la faccia incredula dell’ispettore, che ci spiegò l’accaduto. In sintesi, il custode della tomba non era al corrente della nostra presenza. Passò di lì per caso, vide la porta aperta, si allarmò e corse a chiuderla. Dopo varie ore l’ispettore gli si avvicinò con aria perplessa, chiedendogli che fine avessero fatto “gli italiani”. Il custode sbiancò e si giustificò asserendo di aver eseguito gli ordini ferrei imposti dal Ministro dell’epoca. Menomale che l’ispettore non era morto nel frattempo… altrimenti eravamo ancora là. Posso dire di essere l’unico uomo uscito vivo da una tomba chiusa!

Ha vissuto un’esperienza simile anche al Museo Egizio di Torino negli anni Ottanta.
All’epoca c’era stata una rottura delle fognature in via Accademia delle Scienze, per cui le cantine sotterranee del Museo, adibite al deposito dei sarcofagi, si erano allagate. La Soprintendenza ci chiamò per spostare i sarcofagi da lì e poggiarli su blocchi di cemento rialzati, al fine di metterli al sicuro dall’acqua. Durante gli spostamenti, tuttavia, ci fu il cambio turno dei custodi. Uno di loro, ignaro della nostra presenza, vide la porta delle cantine aperta e pensò “bene” di chiudere al volo tutto e spegnere la luce. Ci trovammo dunque al buio, con i sarcofagi tra le gambe, in mezzo alla melma… Aspettammo per ore finché non arrivò il nuovo turno di guardia che ci liberò, sia noi sia i sarcofagi.

Quanti sarcofagi ha restaurato?
Tantissimi, credo 400 in totale: oltre al museo Egizio di Torino, ho lavorato a Genova, Venezia, Biella, Asti, Padova, Trieste, Como… e poi in numerosi cantieri fuori Italia. Uno degli ultimi è da poco partito per la Cina, per essere esposto in un’importante mostra.

C’è un sarcofago che l’ha affascinato più degli altri?
Direi di no, perché tutti hanno proprie caratteristiche. Tra i più illustri c’è sicuramente quello di Nefertari, ma ne ho restaurati tantissimi, da quelli molto antichi a quelli di epoca tarda, ognuno col suo fascino. Ci sono anche i cartonnage, ovvero dei manufatti che replicavano in tutto o in parte un sarcofago ligneo ma erano fatti con lino e/o fogli di papiro incollati tra loro e poi decorati. Uno di essi, realizzato nella XXII dinastia dai migliori artigiani per la figlia del sovrintendente alle decorazioni delle Tombe Reali, si trova al museo di Como. Come tecnico mi meraviglio sempre dei dati che rilevo sui sarcofagi, anche su quelli meno appariscenti e non decorati, e spesso mi chiedo “come avrà fatto l’artigiano ebanista dell’epoca a realizzare incastri così perfetti in un legno durissimo, usando strumenti con la lama di rame o di pietra al posto del ferro?”. Senza dimenticare il fascino che sprigiona anche “l’ospite” del sarcofago, spesso da restaurare e ribendare.

Per ulteriori informazioni contattare:
“Nicola Restauri”
Via Giuseppe Mazzini 8
14020 Aramengo
Tel:0141/909125 – 26
www.nicolarestauri.org
info@nicolarestauri.com
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Il Laboratorio è aperto per visite tutti i sabati dalle 14 alle 18, con prenotazione obbligatoria.

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