Ito ci ha lasciato: Castell’Alfero perde un amico

Addio al Maestro De Rolandis, pronipote dell’ideatore del Tricolore

CASTELL’ALFERO – Chi abita in questo piccolo comune del Monferrato si sente un po’ più solo oggi, sapendo della scomparsa di Ito De Rolandis. Lo ha comunicato il figlio Alessandro sul suo profilo Facebook, letteralmente invaso da messaggi colmi di tristezza, commozione e ricordi.

Un compagno di viaggio ideale

«Abbiamo scampato il coronavirus che non ci ha toccato, ma la vita è fragile – scrive Alessandro sui social -. Negli ultimi giorni ha dovuto lottare da solo, sotto la tutela dei medici, e la famiglia è rimasta obbligatoriamente a casa. Ha lasciato tutto qua. Non si è portato via nulla, nemmeno i ricordi perché ce li aveva raccontati tutti. Ci ha lasciato anche tanta tristezza, amarezza, un grande vuoto, e il suo fazzoletto nella mia tasca. È stato un compagno di viaggio ideale.
Un pensiero va ai suoi amici, che sono sempre stati parte fondamentale della sua esistenza, abbondantemente ricordati nelle sue frequenti narrazioni: amici».

Il funerale si terrà il 5 giugno alle 16 a Castell’Alfero in piazza Castello

 

“Il” giornalista

Ito è stato il giornalista, non un giornalista. Nacque ad Asti nel 1934 e si laureò presso l’Università di Torino. Entrato nel giornalismo, quale redattore del Giornale Radio alla Rai, nel 1954 partecipò alla nascita del Telegiornale e della nascente TV con Piero Angela, Enzo Tortora, Emilio Fede, Gigi Marsico.
Dal 1961 al 1981 lavorò alla Gazzetta del Popolo di Torino con Arturo Chiodi, Giorgio Vecchiato e Michele Torre. Collaborò per molti anni con Il Messaggero di Roma, Il Secolo XIX di Genova, Il Resto del Carlino di Bologna, La Nazione di Firenze, l’agenzia ADN Kronos di Roma, con settimanali e mensili italiani e stranieri. Ito scrisse numerosi saggi e opere di narrativa e fu autore di vari programmi radiofonici e televisivi. In questo settore ha curato per la BBC di Londra decine di documentari aerospaziali, naturalistici e tecnici. Tra le altre, fu anche presidente dell’Associazione Leon Battista Alberti di Torino.

L’intervista di Dentro la Notizia del 2011

Per ricordare il Maestro De Rolandis, pubblichiamo l’intervista che rilasciò proprio alla nostra testata nel marzo del 2011, in occasione dei 150 anni dell’Unità d’Italia.

«Mio zio ideò il Tricolore, la vera festa sarebbe parlarne»

In occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, Ito De Rolandis ci racconta l’epopea della nostra coccarda

CASTELL’ALFERO – Un libro può trasportare il lettore come su una barca, in viaggi perenni, pur restando fisicamente seduti; un libro può far sentire nella testa, le voci assordanti di tutte le persone del passato, pur essendo nel silenzio assoluto. Ito De Rolandis, giornalista e scrittore nato nel 1934 proprio qui, in questo piccolo paese del Monferrato, è il vento che spinge la nostra barca immaginaria. Autore di numerosi saggi e opere di narrativa, ha svolto rigorosi studi sull’origine della bandiera italiana, continuando a reperire documenti utili a dar voce alla nostra storia. In quest’intervista, il pronipote di Giovanni Battista De Rolandis, trasporterà i lettori in un viaggio lungo oltre 200 anni.

Dott. De Rolandis, nel 2008 esce “Orgoglio Tricolore. L’avventurosa nascita della nostra bandiera” (Lorenzo Fornaca Editore). Ovviamente nessuno può conoscere la materia meglio di lei.

“Orgoglio Tricolore” è un libro che racconta in maniera molto semplice l’epopea della nostra coccarda. Alla fine del ‘700, l’entusiasmo per la Rivoluzione Francese, che aveva come emblema il cappello frigio e la coccarda tricolore azzurra, bianca e rossa, dilagò in tutta Europa. I tre colori indicavano giustizia, eguaglianza e libertà, ossia i tre cardini fondamentali della democrazia. A Parigi, tra i membri di un Governo creato dai rivoltosi, si affacciò Napoleone Bonaparte; egli avvertì una situazione militare instabile, poiché gli aristocratici, rifugiati negli stati attorno alla Francia, erano pronti a formare un nuovo esercito per riconquistare gli antichi privilegi. Per sensibilizzare le menti, Napoleone decise di mandare degli infiltrati anche in Piemonte, Lombardia, Stato della Chiesa, Stato del Veneto e Ducato di Parma, con lo scopo di divulgare l’obiettivo di portare la libertà e una Repubblica democratica. Il capo di questi infiltrati fu Antoine Christophe Saliceti, che a Bologna nel 1794 prese contatti con gli studenti dell’Università, tra cui spiccavano G.B. De Rolandis (Castell’Alfero, 24/6/1774 – Bologna, 23/4/1796) e Luigi Zamboni, i più accesi, i più patriottici. Saliceti li convinse ad attuare una sommossa allo scopo di sollevare la città contro il governo pontificio dello Stato della Chiesa, un appoggio esterno alle truppe francesi, ma Napoleone all’ultimo rimandò perché temette per il suo esercito a causa del tempo gelido di novembre. Zamboni, studente di Giurisprudenza e De Rolandis, iscritto ai corsi di Teologia, insieme agli altri ragazzi del piccolo collegio della Viola, fecero ugualmente la sommossa, ideando come simbolo del loro movimento, una coccarda tricolore ad ispirazione di quella francese. La coccarda che a Parigi simboleggiava la Presa della Bastiglia (14/7/1789), da noi non aveva un significato, quindi si sostituì il turchino francese col verde, per esclusione, non perché collegato alla speranza, né per ingraziarsi alcuni elementi della massoneria (il simbolo è verde) che sovvenzionarono la sommossa. De Rolandis dichiarò infatti, davanti al Tribunale dell’Inquisizione, che non si volle “far da scimia alla Francia”. La coccarda fu cucita dalla madre e dalla zia dello Zamboni, mentre tutti i manifesti furono scritti da G.B. De Rolandis. Finì male: i collegiali tradirono, uno per pura pazzia, il Cofano di Montechiaro d’Asti, Angelo Sassoli per soldi, mentre i due medici fratelli Succi credettero d’ottenere la libertà di uno zio in galera per ragioni politiche. I due giovani, scappati nel Gran Ducato di Toscana, furono arrestati dai “birri”, la polizia papale, pur essendo fuori dal confine, e trascinati a Bologna. Il 18 agosto 1795 trovarono Zamboni morto impiccato, anche se la sera prima entrarono nella sua cella 2 individui che la mattina dopo svanirono nel nulla. La Gazzetta di Bologna ne parlò, esprimendo perplessità su un uomo capace d’impiccarsi in una cella alta un metro e 10 cm. G.B. De Rolandis fu portato al capestro 6 ore prima che la condanna a morte fosse pronunciata dal tribunale, dopo un anno e mezzo di torture, evirato e con le gambe spezzate, col Vangelo fra le mani.

Non tutti possono annoverare tra le parentele un martire per la patria: come si parlava di Giovanni Battista in casa sua?

Si provava un sentimento di riservatezza, un segreto da tenere nel cassetto della nostra memoria. Il Tribunale dell’Inquisizione in Italia operava, alla fine del ‘700, sotto le direttive di Mons. Xaverio de Zelada; oltre alla morte di G.B., tra le altre punizioni, si voleva distruggere la nostra dimora di Castell’Alfero, non si scherzava su questo argomento in casa.
Inoltre la famiglia è sempre stata in estremo imbarazzo nei confronti della Chiesa, fino a quando, in occasione del bicentenario dalla morte di GB, mia moglie Carla, scrisse al Papa Wojtyla, poiché “era giunto il tempo di tendersi la mano, unendo la coscienza di ieri con quella di oggi”; Giovanni Paolo II accolse la richiesta, e rispose che la Chiesa intesa come Istituzione, non doveva essere additata per le nefandezze compiute da elementi della Chiesa, religiosi sì, ma pur sempre uomini.

G.B. a soli 22 anni sacrificò la vita per un sogno; a distanza di più di 200 anni, quanto sono cambiati i giovani italiani?
Ci sono giovani che sono pozzi di sapienza, ma tolta questa piccola percentuale, resta una maggioranza di ragazzi che non sa né cosa fare, né come fare. La situazione politica è molto cambiata, oggi siamo in democrazia, ma spesso non sappiamo gustarne il piacere. Il giovane di oggi che potrebbe emulare GB, deve essere una persona di grande coscienza e consapevolezza delle sue azioni, con un preciso fine prefisso. Abbiamo avuto grandi uomini politici, come De Gasperi, Togliatti o Einaudi, ma non abbiamo valutato negli anni ’60-’70 con serietà il fattore lavoro, ecco perché i nostri giovani vivono sul carpe diem, non hanno più un obiettivo.

Cosa pensa della polemica di febbraio, quando si doveva decidere se considerare il 17 marzo un giorno di Festa Nazionale?
Anche io sono andato a scuola, e quando c’era un giorno di festa ero ben contento di “tagliare”. La festa Tricolore è la coscienza della nostra Nazione, l’eredità che ci è stata lasciata dalla storia, non è mangiare i tortellini col tricolore al collo; andiamo pure al mare il 17, ma il 16 o il 18 marzo, nelle piazze o nelle scuole, teniamo lezioni, dibattiti e conferenze, facciamo diventare la festa un grande palco di dibattito per chiarirci le idee su quello che abbiamo fatto e sul valore del passato. Manca una cultura, a volte sembra ci si diverta ad abbattere quei valori senza i quali non ci sarebbe l’idealità, presupposto per obiettivi futuri.

Se GB De Rolandis fosse ancora vivo, che cosa direbbe dell’Italia di oggi?
Sarebbe frastornato e senza parole, lui vorrebbe sicuramente una sola cosa, essere riconosciuto come padre del Tricolore.

Se avesse facoltà di far sentire la sua voce a tutti gli emigrati italiani all’estero, cosa vorrebbe dire loro in questo giorno di festa?
Vorrei che arrivassero loro i miei complimenti poiché, sradicati per mille motivi, sono assetati di libri che raccontano la storia dell’Italia. Hanno le nostre stesse radici, ma conoscono fatti della Patria che qui spesso sono ignoti a noi stessi.

Dentro La Notizia si stringe attorno alla famiglia di Ito e a tutti castellalferesi.

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