“A che gioco giochiamo?”: l’intervento di Gianfranco Miroglio su alberi sacrificati, campi di Padel e prati di plastica in città
E’ una storia banale. L’avvio è un classico. Il finale un po’ meno.
C’era una volta un quartiere, le sue case alla buona, due strade, un incrocio, un semaforo.
Nel quartiere, sul fondo, c’era una volta una fabbrica e un viale di tigli che portava alla fabbrica.
C’erano una volta un nonno e una mamma, tutti e due diretti, di mattina, alla fabbrica. Sulle bici. E c’era un popolo in bici di gente da fabbrica, ci entrava e ci usciva ogni volta che una sirena suonava.
Nel bel mezzo del popolo si aggirava un bambino.
Di fianco alla fabbrica, sul fondo, sotto un cielo di luce, di colori e perfino di fumi, c’era il Circolo. Con dei campi da bocce, un campetto da tennis, degli aggeggi per fare ginnastica. Più che tutto, dei tavoli. C’erano una volta, ai tavoli, delle persone incurvate che giocavano carte e a quel bambino che passava di lì sembravano vecchi.
C’era una volta la Festa del Circolo. Lo racconto proprio adesso perché la Festa si faceva ad agosto, giorno 15. E nel Circolo, durante tutta la Festa, dal mattino alla sera, c’era una volta una bellissima ombra indelebile. La facevano, per lungo e per largo, un tiglio e dei platani, specialmente in un angolo. Un angolo in ombra, per l’appunto, ben lontano dai cancelli d’ingresso, ma vicino alle rotaie di un treno-giocattolo nero che appariva per pochi minuti, all’andata e al ritorno, e al bambino piaceva. Quella Festa che c’era una volta era suoni, rumori, stoviglie e bestemmie. Era giorno, era caldo, era scherzi, allegria e canzoni. Era sera e poi notte. Era gli ultimi anziani a russare appoggiati sui tavoli, oppure, sui tavoli, il rimbombo di manate e di pugni dei due della FIOM. Due fenomeni. A quel punto, tutta l’ombra, indelebile e bella, era buio, oppure era stelle tra i rami. Il tiglio era come il cespuglio di un sogno. I sei platani, invece, un paziente e sospeso respiro. Altri tempi.
Oggi invece.
Il quartiere si è stinto e ristretto. La fabbrica è morta e sono morti mio nonno e la mamma. Sparite le bici, le loro e tutte quelle del popolo in bici. Il bambino, un ragazzo e poi vecchio.
Il trenino, tempo fa, ha fatto un’ ultima andata e non c’è stato il ritorno. Il viale che porta ai cancelli c’è ancora, ma non ci passa quasi nessuno. E’ una storia banale, lo dicevo all’inizio. Ineluttabilità delle cose. Diderot e Voltaire suggeriscono che il passato non torna. Non può. Ineluttabile tutto.
Eppure il Circolo esiste e resiste. Cosa dire allora dei vecchi come sempre ancora incurvati, cosa dire di un poker, una briscola o altro? Cosa dire, anche oggi, di una birra, un caffè, un amaro? Cosa dire, invece, dell’ombra in quell’angolo? Non c’è più. La facevano alcuni tigli e dodici platani. Proclami, promesse: emergenza climatica, prima cosa l’ambiente, tutelare la terra. Parole. Da poco, i tigli sono stati capitozzati malamente e feriti, uno pare sia è stato segato e i dodici platani li hanno abbattuti. In pochi ne hanno detto o ci han pianto. Nel quartiere, forse, con gli anni, c’è più indifferenza. Il quartiere si è fatto scontroso. A che gioco giochiamo? Sul posto, senza un filo di ombra, ci sono i campi da Padel. Allora val la pena un commosso ricordo per quegli alberi, … un ricordo e due conti. Dodici piante in carriera (qualcuna con gli acciacchi di tante stagioni), dopo 50 anni, 60 di puntuale servizio: vuole dire che gli esseri, le creature, oltre l’ombra bellissima e i sospiri notturni di foglie, le romantiche stelle tra i rami, hanno lavorato per noi in maniera puntuale e importante: tabelle fonte bio economia del CNR Bologna, ci dicono che cinque platani di quell’età, in schiera e in contesto urbano, sequestrano 800 kg di co2 all’anno, accumulano 7000 kg di co2, rilasciano 700 kg di 02 all’anno, rilasciano 700 kg di 02 all’anno, assorbono 1000 g di PM10 all’anno. un tiglio sequestra 150 kg di co2 all’anno, accumula 1100 kg di co2, rilascia 80 kg di 02 all’anno, assorbe 130 g di PM10 all’anno. Oltre all’arcinoto e citato co2, da rimarcare sono proprio i dati del rilascio di 02 e dell’assorbimento di PM10, particelle inquinanti dannosissime per i nostri polmoni. Moltiplicate per due e un pezzetto. Insomma il bel gruppetto di piante annullava totalmente le emissioni di almeno un paio di vetture di media cilindrata che percorrono 10 000 chilometri l’anno. Stando lì, avrebbero spontaneamente continuato a farlo. Da qui la domanda: è ineluttabile il Padel? In quel posto? Domanda tristemente retorica. Non ce l’abbiamo con il Padel e con chi lo vuol praticare, figurarsi, ma nella scelta dei siti evitiamo di sacrificare degli alberi. Si può fare.
Invece, nei prossimi mesi, potremo giocare a ‘sto gioco, su un bel fondo blu-sintetico che ha nascosto altro suolo. E poi tutto intorno, sui bordi, a completare il progetto, sono nati dei piccoli prati. L’erba brilla, è simmetrica, è perfetta. E’ di plastica. Fa fine, non impegna. Ma fa male all’ambiente, specialmente in un’estate così. Si scalda molto più della terra, allontana gli insetti, rende ancora più fragile un ecosistema già scosso, col passare dei mesi si deteriora e può sfaldarsi in minutissime scaglie. Ci ha pensato qualcuno? Anche questa dei prati farlocchi può diventare una moda: metti giù e non c’è più niente da fare. Nessuna fatica, poca spesa. La gestione è irrisoria. Sono rari, per ora, ma in città se ne vedono già.
Attenzione, evitiamo altri danni.
Gianfranco Miroglio
Europa Verde-Verdi