I tribuni di Barabba

Remando controcorrente - logo by Paolo MoiseSull’onda lunga di un articolo, peraltro zeppo di imprecisioni, pubblicato da Il Fatto Quotidiano, gli utenti dei social e non solo hanno espresso la loro indignazione per il fatto che il celebre scrittore noir Massimo Carlotto è stato prescelto da Rai 4 per condurre l’edizione italiana di un programma che racconta le vite di alcuni serial killer.

Argomento coerente con le tematiche dei romanzi dello scrittore padovano, gravato però – dal punto di vista dei suoi detrattori e dalla stessa famiglia della vittima, che si è appellata ai vertici RAI per bloccare la messa in onda del programma – da un gravissimo vulnus risalente alla seconda metà degli anni ‘70.

Quando Carlotto, studente e militante della formazione di estrema sinistra Lotta Continua, venne accusato dell’omicidio di Margherita Magello, ragazza 24enne che lui conosceva solo superficialmente, poiché affittava l’appartamento a fianco di quello in cui viveva sua sorella, barbaramente uccisa con ben 59 coltellate.

Nel rimarcare la sua innocenza, Carlotto ha sempre sostenuto di averla trovata agonizzante e di essersi sporcato con il suo sangue cercando di aiutarla, fuggendo poi in preda al panico e presentandosi ore dopo ai Carabinieri. Il passaggio da testimone a principale (e sostanzialmente unico) imputato di omicidio volontario fu molto repentino e gli costò, nonostante processi basati su pochi e labili elementi, una condanna in Appello (confermata dalla Cassazione) a 18 anni di carcere.

Che Carlotto scontò solo in parte, poiché prima della lettura della sentenza fuggì all’estero e rientrò in Italia anni dopo. Nel frattempo, accreditatosi come eccellente scrittore, si formarono comitati spontanei di intellettuali che chiesero la revisione del processo, ritenuto aleatorio. Finché nel 1993 l’allora Presidente Scalfaro, tenuto anche conto delle sue precarie condizioni di salute, gli concesse la Grazia.

Che sia innocente o meno, in questa sede, poco importa. Ciò che ci preme sottolineare è l’eccessiva facilità con cui si tende a condannare (o all’opposto “salvare”) sulla base di un articolo, un’opinione, un sentito dire. Con l’elevato rischio, da Barabba in poi, di far propria una posizione sbagliata.

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