Continua il Festival “Corti, Colline, Comunità e…”

Il 29 agosto a Valfenera saranno raccontate storie di masche, mentre il 31 agosto a Cellarengo lo spettacolo “Il testamento dell'ortolano"

E’ in corso il Festival “Corti, Colline, Comunità e…” dell’Unione “Dalla Piana alle colline”, costituita dai Comuni di Cellarengo, Ferrere e Valfenera. La direzione è affidata all’esperienza di Casa degli alfieri ed in particolare alla sezione di lavoro AR.TE.PO. (ARchivio TEatrale POpolare) diretta da Massimo Barbero, che da oltre vent’anni promuove e realizza spettacoli, azioni sui territori, eventi, ricerche.

Doppio appuntamento la prossima settimana.

 

Lunedì 29 agosto alle ore 21 a Valfenera, al Parco La Rocca, lo spettacolo “E venne la notte… Storie di masche, folletti e creature del mistero” della Compagnia il Melarancio, con in scena Gimmi Basilotta.

E’ un vero e proprio “trigomigo”, termine occitano che significa intreccio, groviglio, cosa difficile da dipanare, insieme di storie che s’intersecano tra loro…

Un tempo queste storie venivano raccontate da cantastorie che giravano per i paesi e oltre a raccontare questi uomini compravano oggetti, vendevano unguenti, guarivano da piccoli e grandi mali. Oppure erano leggende che si ascoltavano nel calore della stalla, riscaldati da mucche compiacenti, nelle sere d’inverno, alla luce di un’unica lampada.

Tratte dal racconto orale dei nonni, dei vecchi di paese e di borgata, le storie dello spettacolo sono il frutto di un lavoro di ricerca e di raccolta di memoria popolare durato più di dieci anni sul territorio delle valli alpine del cuneese.

Attraverso l’utilizzo di oggetti e di figure di memoria contadina prendono vita personaggi misteriosi come il Candy un fantasma di neve, Cavalàs indomabile e furioso cavallo selvaggio, LouvRavàs l’uomo-lupo, Barbabiciucutela l’ orco divoratore di bambini, i canett le anime dei morti trasformate in cani, il Servan un folletto invisibile e dispettoso, la terribile Sabroto la Longo, la masca, la strega per eccellenza e non può mancare il Diavolo, disposto persino a segare in due una montagna pur di conquistarsi un’anima da dannare.

Mercoledì 31 agosto alle ore 21 a Cellarengo nel Parco Giochi al Frutteto ci sarà lo spettacolo “Il testamento dell’ortolano” del Teatro degli Acerbi, da un racconto di Antonio Catalano, con in scena Massimo Barbero.

Il sapore è quello di una fiaba antica, ma i contenuti sono modernissimi, poiché si parla del legame di amore e cura per il Pianeta Terra, tema di grande attualità e importanza primaria. L’orto diventa un luogo in cui specchiarsi, in cui ritrovare le vicende famigliari, in cui scoprire il legame plurimillenario tra l’umanità e la Terra, che dobbiamo tutelare come eredità comune e ancor più come fonte di vita.

Protagonista della storia è l’ortolano Adelmo, vissuto in quel passato prossimo in cui l’orto era fonte primaria di sostentamento famigliare. Egli ha ricevuto la terra dai suoi antenati, l’ha coltivata per tutta la vita; ha imparato dal padre, ma si è anche inventato il mestiere sperimentando ad ogni stagione, con buona pace di tradizioni e proverbi; ha guardato alle fasi lunari un po’ sì e un po’ no, perché la luna sta lassù e che ne sa lei dei fagiolini; ha maledetto la tempesta e la siccità; ha messo su famiglia e l’ha nutrita coi frutti della sua fatica. Il giorno in cui, infine, si sente vicino alla morte, si chiede che destino avrà il suo orto, nelle mani del figlio Michele.

Ricevere in eredità un pezzo di terra e attrezzi agricoli può essere gravoso. Ma se si entra per quel cancelletto sgangherato anche solo per fare pulizia, per il decoro del vicinato, si rischia di subire il fascino di quella variegata comunità di esseri viventi, che va avanti strenuamente anche nel disinteresse del novello proprietario.

L’orto può diventare così un luogo in cui specchiarsi, in cui ritrovare le vicende famigliari, in cui scoprire il legame plurimillenario tra l’umanità e la Terra, che dobbiamo tutelare come eredità comune e ancor più come fonte di vita. Insomma, l’orto è il luogo della Cura: là dove ci si prende cura della terra, e dove la terra cura il corpo e l’anima. Questo è il messaggio lanciato dall’ortolano, laborioso e bonario, filosofo e poeta a sua insaputa.

Come un antico “cunto” in cui però si narrano le gesta non di prodi cavalieri, ma di contadini in sella alla Lambretta, di peperoni magici esplosi in cielo come fuochi d’artificio, di balli a palchetto e lune di polenta…

La regia è di Patrizia Camatel.

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