“Tra i vari sguardi sulla Cina manca quello dei diritti umani?”

La riflessione di Domenico Massano sulla tre giorni di approfondimenti ospitati ad Asti

Riceviamo e pubblichiamo

La città di Asti ospita una tre giorni di approfondimento culturale sui rapporti con la Cina, organizzata da diverse realtà, istituzionali e non, su impulso, in particolare, del Sindaco della città e Presidente della provincia Maurizio Rasero “per dare vita a una disamina, a diversi livelli di approfondimento, delle relazioni tra Italia e Cina, oggi e in futuro”. La finalità è sicuramente non solo condivisibile, ma utile, tuttavia se l’intenzione è quella di “offrire a tutti gli interessati, diversi sguardi per contribuire al dibattito pubblico … “, pare che nella tre giorni manchi un approfondimento specifico sulla situazione dei diritti umani e sulle libertà democratiche nel paese. Essendo aspetti che, al pari di quelli storico/culturali, geopolitici ed economici, ritengo siano fondamentali per un quadro completo e corretto del paese e per avviare un reale dibattito pubblico consapevole e critico “sulle relazioni tra Italia e Cina, oggi e in futuro”, spero che pur non comparendo nella corposa locandina di presentazione dell’evento, siano quantomeno accennati nel corso dei vari interventi per poi essere trattati in modo più approfondito in seguito.

Quelli dei diritti umani e delle libertà sono, infatti, aspetti fondamentali per approfondire una corretta, per quanto limitata, conoscenza dell’interlocutore asiatico (così come di ogni altro interlocutore) e del suo rappresentante Xi Jinping che nella lettura pubblica che ne dà il Sindaco di Asti “ha introdotto il socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era [che] ha alla base dei suoi fondamenti la Pace e la convivenza dei popoli”. Affermazioni difficilmente conciliabili sia con quanto affermato, ad esempio, nel Rapporto 2022 di Human Rights Watch in cui si sottolinea che negli ultimi anni “con il presidente Xi Jinping al timone, il governo cinese ha raddoppiato la repressione all’interno e all’esterno del paese”, sia con i dati relativi ai tanti attivisti e difensori dei diritti umani che continuano ad essere perseguitati ed incarcerati, sia con l’enorme numero stimato di esecuzioni capitali nel paese (i dati reali sono “segreto di stato”) e sia con le restrizioni alla libertà di stampa che vedono la Cina al penultimo posto (179° su 180 paesi) del World Press Freedom Index, stilato da Reporter Senza Frontiere.

Tralasciando le tante questioni relative alla repressione in Hong Kong, alle limitazioni della libertà d’espressione e di riunione, ai diritti LGBTQ+, alla libertà di religione e credo, …, parlare di un nuovo corso politico fondato “sulla pace e sulla convivenza dei popoli”, vuol dire, inoltre, non tenere nel dovuto conto la repressione tragica e sistematica delle popolazioni nelle regioni del Tibet e dello Xinjiang. Proprio relativamente a quest’ultima regione lo scorso anno, oltre ai rapporti ed alle denunce di molte associazioni di difesa dei diritti umani, l’ONU ha pubblicato un dettagliato Rapporto secondo cui la vastità della detenzione arbitraria e discriminatoria degli Uiguri nello Xinjiang può configurarsi come crimine di diritto internazionale, in particolare crimine contro l’umanità. Si ritiene, infatti, che molte migliaia di uomini e donne siano ancora detenuti arbitrariamente in campi di internamento, prigioni o altre strutture da cui sono stati ampiamente riportati l’indottrinamento politico, la tortura fisica e psicologica, la sterilizzazione e altre forme di maltrattamenti (l’organizzazione “Campaign For Uyghurs”, nominata nel 2022 per il premio Nobel per la pace, denuncia violenze e persecuzioni ai danni di circa 3 milioni di Uiguri, e il docente universitario uiguro Ilham Tohti, che nel 2019 ha ricevuto il Premio Sacharov per la tutela della libertà di espressione assegnato dal Parlamento europeo e consegnatoli da David Sassoli, è stato arrestato e condannato all’ergastolo per aver denunciato le discriminazioni e le violenze contro gli Uiguri ed altre minoranze in Cina).

Anche Papa Francesco, nonostante la prudenza con cui sono curati i rapporti ed il dialogo con la Cina, nel testo “Ritorniamo a sognare. La strada verso un futuro migliore”, scrive: “penso spesso ai popoli perseguitati: i Rohingya, i poveri Uiguri [e] gli Yazidi”.

Ritengo, quindi, che lo “sguardo” sui diritti umani e sulle libertà tocchi questioni importanti da approfondire e che spero possano fare capolino tra i vari interventi previsti, anche se credo che avrebbe meritato uno spazio dedicato al pari di quello storico/culturale, geopolitico ed economico, per offrire alla cittadinanza un evento culturale (per cui anche lo scoglio del reperimento dei fondi,  su cui si sono infrante diverse altre proposte, è stato celermente superato) capace di dare effettivamente vita a una disamina, ampia e corretta, “delle relazioni tra Italia e Cina, oggi e in futuro”.

Domenico Massano

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