A Villafranca batte il cuore dell’Afghanistan
Il sindaco Macchia e l'assessore Noto hanno fatto visita ai nove profughi arrivati cinque mesi fa
VILLAFRANCA – La piccola Hadia, 7 anni, è nata a Kabul e ha iniziato la scuola a Villafranca. La distanza tra le due città, per lei, è un volo aereo che, dopo la presa di potere dei talebani, ha allontanato dall’Afghanistan la sua famiglia, costretta alla fuga, e l’ha consegnata alla pace della Valtriversa.
A Villafranca la famiglia Hussainzada vive da poco più di cinque mesi in un appartamento di piazza Santanera, messo a disposizione dalla Caritas, e per imparare più in fretta l’italiano ha tappezzato le pareti della cucina di fogli con le declinazioni dei verbi e i nomi dei colori.
Al capofamiglia Hamidullah Hussainzada, 30 anni, taxista a Kabul, piace in particolare il verbo potere: poter lavorare, poter mantenere la sua famiglia, poter essere sereni, ecco il suo desiderio.
A questa famiglia dal carattere mite e ospitale hanno fatto visita nei giorni scorsi il sindaco Anna Macchia e l’assessore alla Cultura Delfina Noto. E’ stata quest’ultima, docente in pensione, a insegnare alla famiglia Hussainzada, arrivata in paese a fine agosto, le prime parole di italiano. A settembre Hadia, 7 anni, ha iniziato ad andare alla primaria. Il papà l’accompagna ogni giorno a scuola mentre la mamma Shukuria, 27 anni, bada a Usna, 8 mesi, poco più che un tenero fagotto quando l’aereo si è alzato da Kabul. Nella fuga sono riusciti a scappare anche la madre di Hamidullah, Jamila, il fratello Noorullah, i cugini Saber e Mustafa, il più giovane di tutti, appena 16 anni, e un amico, Matiulla: tutti di etnia hazara, vittime di genocidi documentati nei libri di storia e perseguitati anche dai talebani.
C’è fretta di imparare l’italiano: “Per cominciare a parlare con le persone, perché senza capirci non possiamo avere amici e lavorare” spiega Hamidullah, che per quattro giorni a settimana frequenta i corsi del CPIA, insieme alla moglie, a Villafranca e Asti. “Il Comune – spiega il sindaco Anna Macchia – mette a disposizione la Sala Virano per le lezioni. Tutti noi ricordiamo le immagini sconvolgenti dei talebani entrati a Kabul: tra una settimana saranno sei mesi. Essere qui oggi dall’unica famiglia afghana rimasta a Villafranca, dopo il trasferimento recente di un altro nucleo ad Asti, vuole essere un atto di solidarietà per dire a queste persone, costrette dalla paura a un esilio forzato, che non sono sole nel nostro paese”. “Fin dai primi giorni in cui sono arrivati – ricorda l’assessore Delfina Noto – i profughi afghani hanno chiesto di imparare l’italiano, senza aspettare l’inizio dei corsi di alfabetizzazione. Ci siamo messi a fare lezione nella sala dell’oratorio parrocchiale e abbiamo passato parecchio tempo insieme: è stata un’esperienza umana molto intensa“.
Hussainzada è disponibile a “qualsiasi lavoro”. Lui e i suoi familiari fanno parte di quella schiera di 21 afghani in attesa di essere riconosciuti come rifugiati ed entrati, fin dall’inizio, nel programma di accoglienza gestito dalla Caritas astigiana, i cui operatori e volontari villafranchesi affiancano gli ospiti per ogni bisogno e per favorire la loro integrazione nel contesto in cui vivono. “La concessione dell’asilo politico – dice Beppe Amico, direttore della Caritas di Asti – potrebbe avvenire già entro l’estate: per i profughi afghani c’è una procedura accelerata in considerazioni dei rischi che corrono per la loro vita”.
La normativa prevede che tre mesi dopo aver presentato la richiesta di asilo in Questura gli ospiti possano cominciare a lavorare attraverso i tirocini formativi, ma generalmente la non conoscenza dell’italiano frena l’inserimento, anche se non mancano eccezioni. Per ora gli adulti della famiglia Hussainzada vanno a scuola di italiano e contano sulla disponibilità come traduttore di un concittadino, Sher Khan Shaikhel, che da tempo vive e lavora a Villafranca.
Non ci sono solo le incognite sul futuro: “La tragedia di sottofondo – racconta Beppe Amico – è la richiesta dei nostri ospiti di aiutare chi è rimasto laggiù. In Afghanistan la situazione è molto difficile. Tra chi è arrivato fin qui, nessuno dimentica la sofferenza del popolo“.