I servizi per le donne al tempo del Covid-19: dentro al Piam (lotta alla tratta)
Cinque domande e cinque risposte per un aiuto immediato con sos-donna.it
ASTI – Quattrocento donne salvate dalla tratta degli esseri umani in vent’anni, quarantadue attualmente sotto protezione: sono i risultati dell’attività dell’Associazione Piam protagonista, questa settimana, dell’intervista di SOS donna.
Come hanno lavorato gli operatori sociali di via Carducci 28 durante l’epidemia sanitaria? A quali richieste di aiuto hanno fatto fronte?
Se molte donne straniere hanno saputo abbandonare la strada, in questi anni, uscire dal racket della prostituzione, ottenere protezione, imparare un nuovo lavoro lo si deve per gran parte all’associazione astigiana guidata da Alberto Mossino. Eppure la rete antitratta piemontese, di cui il Piam fa parte, proprio nel lockdown ha rischiato di chiudere per mancanza di fondi: drammatico l’appello rivolto pubblicamente un mese fa.
Con la ripartenza, disposta nell’ambito dell’emergenza sanitaria, la sede ha riaperto, garantendo appuntamenti su richiesta telefonica: 0141-355689.
Anche questa intervista, curata da Laura Nosenzo, è pubblicata sul sito web di SOS donna, ideato dall’Associazione culturale Agar e promosso, tra gli altri, dal Consiglio regionale e dalla Consulta delle Elette del Piemonte.
Nelle prossime settimane si visiteranno altri servizi (nel portale si possono già leggere i colloqui con i responsabili del Centro antiviolenza L’Orecchio di Venere, Questura, Centro Mani Colorate) per spiegare come gli stessi funzionano al tempo del Covid-19, assicurando alle vittime di violenza cura, accoglienza e sostegno.
L’intervista al Piam: “Diamo protezione a 42 donne”
Scomparse dalla strada, dopo che il lockdown ha fermato anche i clienti, chiusi in casa come loro, come tutti. Da un giorno all’altro le donne, costrette a prostituirsi, sono diventate invisibili. Alcune di loro però, in quel tempo sospeso che ci ha piegato le ali, si sono fatte vive: hanno telefonato al Piam, ma non per scappare dalla tratta. Avevano una necessità più urgente: mangiare. Non avevano niente al di fuori della fame.
Lo racconta Alberto Mossino, presidente dell’associazione il cui acronimo è Progetto Integrazione Assistenza Migranti.
Adesso che siamo ripartiti come potete sostenere le donne vittime della tratta?
Nel modo che sappiamo e che facciamo da vent’anni: aiutandole a uscire dal giro della prostituzione, sottraendole allo sfruttamento, accogliendole in luoghi protetti, avviandole su percorsi di formazione professionale e tirocini lavorativi affinché il desiderio di una vita nuova non resti sulla carta.
La vostra Unità di strada nel 2019 è venuta in contatto con 300 donne. Finito il lockdown, ha ricominciato a girare?
In questo momento attivare l’Unità di strada non è una priorità: ci prendiamo ancora un po’ di tempo, torneremo a essere operativi a luglio. Già prima dell’epidemia sanitaria, e poi durante il lockdown, abbiamo maturato la consapevolezza che, a differenza del passato, l’Unità di strada non costituisce più lo strumento principale per l’emersione dei casi di tratta.
In vent’anni di lavoro il Piam si è fatto conoscere: ora sono anche le donne a telefonarci o a venire nei nostri uffici, cercarci tramite amici e conoscenti, chiedere il nostro aiuto attraverso Facebook Messenger o su Whatsapp: strumenti che funzionano bene. Così i collegamenti sono più facili, la comunicazione veloce, la capacità di risposta più immediata.
Le donne ci contattano anche da altre città, a volte anche dall’estero.
Certo l’Unità di strada mantiene tutto il proprio valore: è lì sul marciapiede o nelle piazzole, dove le donne vendono il corpo e vivono ogni giorno anche il rischio di essere aggredite o rapinate, che ti costruisci la loro fiducia. Nel momento in cui decidono di uscire dal giro, siamo l’opportunità concreta per aiutarle a farlo.
Su quale fronte, allora, siete impegnati in questo periodo?
L’accoglienza in strutture protette, garantita oggi a 42 vittime di tratta. In città, per l’emergenza, disponiamo di una soluzione abitativa per 30 donne, anche con bambini al seguito. Altre 12 hanno trovato sistemazione in appartamento o con l’affido familiare.
Poi siamo impegnati nei progetti Sprar (accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati) finanziati dal Ministero dell’Interno e attuati con i Comuni. In questa rete trovano protezione anche una dozzina di donne vittime di tratta e sfruttamento. Aiutarle significa accoglierle in posti sicuri e favorire il loro inserimento sociale.
Il contrasto alla tratta è un’attività complessa e delicata che vi vede impegnati insieme ad altri soggetti del territorio, attuando un vero lavoro di rete. Quali risultati avete finora raggiunto e cosa bisogna fare per chiedere il vostro aiuto?
Collaboriamo con le forze dell’ordine e la magistratura per contrastare la criminalità che gestisce lo sfruttamento. In vent’anni abbiamo salvato dalla strada non meno di 400 donne, mediamente 20 all’anno. Le vittime della tratta che aiutiamo sono soprattutto nigeriane e dell’Africa Sub-Sahariana, paesi dai quali provengono anche le operatrici del Piam.
Parlando delle vittime della tratta diciamo sempre che noi non salviamo nessuno, sono le donne che si salvano da sole: la scelta di uscire dal giro deve partire da loro. Noi ci siamo e cerchiamo di non far mancare niente a nessuno. Nel lockdown il Piam, nell’ambito dell’iniziativa “Dona la spesa” promossa da Comune e volontariato, ha distribuito ad Asti generi alimentari a 70 persone, tra cui alcune vittime del racket della prostituzione. Ora, con la ripartenza, siamo tornati attivi a tempo pieno.
La nostra sede di via Carducci 28 è aperta su appuntamento per evitare assembramenti: riceviamo telefonate allo 0141.355689.
Insieme ad altre associazioni e cooperative il Piam fa parte delle rete piemontese antitratta. L’allarme sul rischio chiusura è stato lanciato un mese fa: qual è oggi la situazione?
Da oltre un anno non ricevevamo dalla Prefettura di Torino i fondi, già trasferiti dall’Unione Europea, anticipando gli stipendi al personale. In Piemonte, per gli enti gestori, il rischio di chiudere oltre 200 posti di accoglienza e di non poter garantire il lavoro a 70 operatori sociali, a fronte della scadenza degli affidamenti bancari, era diventato molto concreto. Abbiamo avviato un contenzioso legale che si è risolto ultimamente con il versamento del 50 per cento del dovuto.
Ora che abbiamo appianato i debiti con le banche ci stiamo nuovamente indebitando per continuare ad andare avanti, mentre attendiamo l’erogazione del restante 50 per cento. Ma questo consente al Piam di tenere attiva la rete di protezione nell’Astigiano e nell’Alessandrino.
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