Riflessioni sulla didattica a distanza

Riceviamo e pubblichiamo le parole della Dirigente dell’Istituto “Giobert” di Asti, Patrizia Ferrero, sulla didattica a distanza.

In questi ultimi giorni la stampa locale si è occupata di scuole che annunciano di lavorare sulla didattica a distanza con efficienza e facilità, promuovendo il proprio modello virtuoso. In realtà tutte le scuole stanno lavorando  e per di più su una sfida senza precedenti, quella di cambiare gli ultimi trent’anni di esperienza professionale in pochi giorni. Per questo è poco utile stabilire una graduatoria dei meriti o della visibilità pubblica. Sarebbe interessante, invece di confrontare l’inconfrontabile – l’istruzione professionale con i suoi problemi con quella liceale con le sue eccellenze, quella primaria con quella secondaria – portare all’attenzione del più vasto pubblico dei lettori alcune riflessioni ed alcune problematiche.

PRIMA RIFLESSIONE: con SKYPE risolviamo tutto
I docenti, grazie a tre anni di formazione intensiva ed al bonus, che ha permesso loro di munirsi più volentieri delle adeguate tecnologie, non sono del tutto alla prima esperienza e molti di loro hanno svolto in classe sperimentazioni episodiche o anche continuative in qualche argomento delle loro materie. Ma è la prima volta che una metodologia “integrativa”, “motivazionale”, “aggiuntiva” diventa l’unico modo possibile per insegnare tutto in tutte le materie. La risposta dei docenti è stata in genere sorprendente e se un nuovo sistema si sta velocemente mettendo in atto, soprattutto alle superiori, è grazie al molto lavoro dei docenti digitalizzati e degli assistenti tecnici ed amministrativi, al (meglio silente) coordinamento continuo dei Dirigenti Scolastici ed al moltissimo lavoro di iniziativa personale delle migliaia di docenti che imparano facendo, ritornando ad essere allievi di se stessi. Infatti, è bene sapere che la didattica a distanza non consiste nel mettersi davanti ad una telecamera e parlare per un’ora, ripristinando quella vecchia scuola in cui io parlo, tu ascolti e se puoi impari, seppellita ormai dai tempi nuovi e dalla scolarità per tutti. La didattica a distanza è mettere a disposizione, perché l’allievo ne usufruisca più volte a modo suo, un insieme di materiali, voce, immagini ed esercizi montato appositamente per essere compreso a distanza. Un lavoro difficilissimo che richiede esperienza, che non abbiamo potuto maturare, e grande umiltà nell’imparare per prove ed errori.

SECONDA RIFLESSIONE: STUDENTI DIGITALI RIMASTI SENZA SEGNALE
I nostri studenti delle secondarie superiori, ma anche quelli più giovani, sono nativi digitali, quindi che problemi hanno con la didattica a distanza? Ne hanno molti e significativi e su questo dovrà lavorare la scuola, quando un giorno finalmente ritorneremo. Incominciamo dal più semplice: nell’istruzione tecnica e professionale una quantità inaspettata di alunni non hanno a casa un Personal Computer. Non sempre il motivo è socio-economico, talvolta i telefoni individuali in famiglia soccorrevano tutte le esigenze social e shop on line. Ma studiare tutto il giorno sul telefono è un problema. Dopo il problema di superficie (le scuole potranno allestire in futuro un sistema di comodato d’uso) affrontiamo i problemi di fondo. Studiare da solo tutte le materie, senza un orario di frequenza obbligatorio e senza qualcuno che richiama la tua attenzione quando ti distrai e sollecita la tua attività, non è facile. È difficilissimo: bisogna saper pianificare le cose da fare, lavorare e rivedere finché non si è capito, controllare la disattenzione, andare a cercare i materiali su varie piattaforme, che spesso collassano dal troppo traffico.

Bisogna avere insomma autonomia, senso di responsabilità e spirito di iniziativa, nonché un bel po’ di etica del lavoro (il senso morale di dare il meglio di sé). Guarda caso sono quelle doti che il linguaggio della modernità chiama Soft Skills, competenze immateriali, e che sono considerate oggi, dalle aziende più importanti della conoscenza, delle tecniche. Ma in questo mondo della modernità chi le ha sviluppate, chi ha promosso la loro crescita nei bambini e negli adolescenti? Sempre meno la famiglia, troppo impegnata o troppo protettiva, ma neppure la scuola, un po’ severa, un po’ buonista, ma alla fine troppo sollecitata sulle nozioni, sul programma da finire, troppo presa dall’integrazione degli alunni in classi sempre più numerose. Così, tanti giovani nativi digitali si mettono in ansia, si scambiano mille messaggi oppure tentano si svicolare: è una vacanza, poi vedremo, studierò domani…e tutto il repertorio degli adolescenti che anche noi siamo stati. Camminano in un fitto bosco guardando un telefono che perde il segnale, e non tutti sanno ancora chinarsi a cercare il sentiero.

CHE COSA IMPARERA’ LA SCUOLA DA QUESTA EMERGENZA?
Se la scuola imparerà ad insegnare l’autonomia, ad affidarsi meno alla parola e a supportare di più i processi personali, a mettersi dal punto di vista dell’allievo e del suo modo di pensare, non avremo passato invano questi mesi di sfida. Naturalmente avremo imparato molte tecniche digitali, ma questo non sarà l’aspetto più importante. Da parte del nostro Istituto, oltre che a dare degli strumenti di controllo dell’avanzamento del programma on line, pubblicando settimanalmente tutti i piani di lavoro ed esortando gli allievi a tenere una check list, abbiamo affinato un’antica virtù, quella dell’ASCOLTO, chiedendo ai ragazzi di compilarci un questionario di valutazione della nostra didattica a distanza da parte loro, dei fruitori, attraverso domande semplici che affrontano però tutti i nodi critici e, specialmente, uno: trovandomi da solo a lavorare, quanto sono cresciuto?

Patrizia Ferrero
Dirigente Scolastico Istituto Superiore “G.A. Giobert” – Asti

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