Nell’attesa di appurare, probabilmente già nelle prossime ore, i nomi che andranno a comporre la sua squadra di governo (che comunque, fino a che non otterrà il voto di fiducia delle Camere, rimane “in pectore”), dalla vicenda che ha portato ad un passo da Palazzo Chigi il prof. Giuseppe Conte possiamo trarre più di uno spunto.In primo luogoè doveroso affrontare la spinosa questione del suo ricchissimocurriculum vitae, nel quale figurano esperienze di studio all’estero che sono state oggetto di molte polemiche. Fermo restando che, indipendentemente da esse,il curriculum dell’avvocato e docente resta comunque impressionante, l’accanimento mediatico su quegli aspetti si incanala in due filoni.Ovvero la spasmodica attenzione dei media nazionali – che, sia pure su input straniero (iprimi dubbisulle esperienze di studio sono stati espressi dall’autorevoleNew York Times),stanno setacciando l’esistenza del premier in pectore come mai prima d’ora– e le ragioni che possono aver spinto l’affermato legale a “gonfiare” un elenco di esperienze lavorative e di studio comunque notevolissimo.Ovviamente, come accade da sempre,il Paese si è prontamente diviso tra Guelfi e Ghibellini, con gli uni che urlano al complotto della “stampa di regime” (come se, davvero, la bistrattata stampa italiana fosse ancora in grado di influenzare la politica…) e gli altri che si fanno paladini di moralità.Entrambe posizioni estreme che, come spesso accade, ci portano a ritenere che la giusta misura stia nel mezzo.Aver ingigantito, forse per vanità accademica,il proprio curriculum non è pratica onorevole, ma è certamente molto diffusa. Di contro,verrebbe da chiedersi quanti esponenti politici, di oggi e di ieri,uscirebbero indenni da un simile fuoco di fila di verifiche mediatiche.Probabile che, almeno in parte,abbia inciso l’anomalia di una figura terza(eteroguidata da Di Maio e Salvini, secondo i dietrologi), lontana dal mondo dei Palazzi romani e che ha espresso la volontà di essere “avvocato difensore del popolo italiano”. Ci viene comunque in soccorso la saggezza del grandeEnnio Flaiano, che nel racconto satirico“Un marziano a Roma”immaginava i romani in grado di abituarsi a qualsiasi cosa: anche a un marziano atterrato nei pressi di Villa Borghese.
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