Sono stati 85, nel 2022, i casi di suicidio accertati nelle carceri italiane. Di questi, 5 sono avvenuti in Piemonte: 4 a Torino e 1 a Saluzzo.
Sono 6, a livello nazionale, quelli già verificati nel 2023.
È quanto emerge dallo studio sui suicidi negli Istituti penitenziari italiani elaborato dal Garante nazionale delle persone private della libertà personale e presentato questa mattina nell’incontro Il fenomeno dei suicidi in carcere: un’emergenza tragica e un grido d’allarme, organizzato e moderato dal Garante regionale delle persone detenute Bruno Mellano.
“L’escalation dei suicidi in carcere – ha scritto l’assessore alle Pari opportunità Chiara Caucino in un messaggio letto da Mellano in apertura dei lavori – è un’emergenza sulla quale dobbiamo intervenire. Il carcere è certo privazione di libertà, ma deve diventare anche luogo di redenzione e rieducazione, occasione di crescita e rinascita: per permettere ai detenuti certamente di scontare la pena, ma senza mai perdere la speranza che un nuovo futuro sia possibile”.
Una linea lungo la quale si sta già muovendo la Regione attraverso il gruppo tecnico Sanità penitenziaria, attivo presso l’Assessorato alla Sanità e e di cui lo stesso Mellano è coordinatore del sottogruppo dedicato ai suicidi, “per verificare il rischio di suicidi e autolesionismo in carcere e rinnovare la relazione tra le amministrazioni penitenziaria e sanitaria”.
“Un interesse e un impegno – ha aggiunto il garante – testimoniato anche dall’operato del gruppo di lavoro costituito all’interno della Commissione Sanità del Consiglio regionale per acquisire notizie, informazioni e documenti sulla gestione del Sistema sanitario all’interno delle carceri piemontesi”.
“Sovraffollamento, degrado, picchi di caldo estivi non rappresentano fenomeni nuovi e a essi non si può attribuire la causa del picco di suicidi in carcere avvenuti lo scorso anno, salito a 85 da una media di 44 l’anno nell’ultimo decennio – ha dichiarato Emilia Rossi del collegio del Garante nazionale –. Lo testimonia il fatto che ben 50 persone si sono tolte la vita entro sei mesi dall’ingresso nel carcere, di cui 10 entro le prime ventiquattro ore, e che non sono rari i casi di suicidio nel trimestre che precede l’uscita dal carcere, dovuto alla mancanza di prospettive e alla paura del futuro”.
“A un detenuto – ha aggiunto – serve, una volta uscito dalla detenzione, avere prospettive diverse da quelle che lo hanno portato in carcere: un’abitazione, opportunità di lavoro, e un clima culturale nel quale diminuisca lo stigma. È quanto mai necessario introdurre mediatori in grado di facilitare il reinserimento sociale dei detenuti una volta usciti dal carcere”.
La necessità di agire e di coinvolgere anche la società civile per far sì che chi entra in carcere da “invisibile” non torni a essere “invisibile” al termine della pena è stata sottolineata anche dal presidente della Camera penale “Vittorio Chiusano” del Piemonte Occidentale e della Valle d’Aosta Roberto Capra e dal provveditore dell’Amministrazione penitenziaria Rita Russo, mentre il coordinatore regionale della Rete della Sanità penitenziaria e responsabile dell’Articolazione per la salute mentale (Atsm) di Torino Patrizia Vaschetto ha evidenziato come “la ricerca di un senso, di una responsabilità, sia fondamentale per un percorso riabilitativo capace di includere e di accogliere chi è detenuto”.
Dopo gli interventi del Garanti regionali dei detenuti della Valle d’Aosta e della Liguria Adele Squillaci e Doriano Saracino, e della garante comunale di Torino Monica Cristina Gallo, il portavoce nazionale della Conferenza dei Garanti territoriali Stefano Anastasia, Garante regionale del Lazio, ha sottolineato che “durante la pandemia i detenuti, come il resto della società, hanno sofferto molto e subito numerose privazioni. Quando la morsa del virus si è allentata, non sempre le attività interrotte sono state riprese, contribuendo ad accentuare il senso di solitudine e di abbandono”.