Di seguito la nota stampa del responsabile territoriale Cisl Fp di Asti Salvatore Bullara
In questi giorni più di un politico ha lanciato l’allarme relativo al fatto che molti vincitori di concorsi pubblici non prendono servizio nella sede in cui sono stati nominati e che questo può compromettere anche la realizzazione degli obiettivi del PNRR.
Alcuni esempi di concorsi andati in tutto o parzialmente deserti ad Asti:
1 aprile Ispettorato del Lavoro: si presenta e prende servizio solo 1 dei 2 funzionari previsti;
1 aprile Tribunale: dei 18 che dovevano prendere servizio se ne sono presentati solo in 13;
16 maggio Prefettura: doveva prendere servizio un funzionario ma non si è presentato.
La spiegazione proposta da questi politici è stata la più facile e di più immediata comprensione: lo stipendio di un dipendente pubblico è troppo basso, soprattutto quando per prendere servizio occorre spostarsi dalla propria regione, magari per lavorare in una città al Nord, lontana e molto cara.
Ma è davvero questo il motivo della disaffezione dei giovani verso il posto di lavoro pubblico?
NI, non si tratta solo di questo.
Ovvero, si, gli stipendi non sono adeguati ed appetibili, è questo è un dato inconfutabile visto che addirittura anche un rapporto dell’ARAN su inflazione e stipendi certifica che negli ultimi VENTI ANNI gli stipendi pubblici non hanno retto il confronto con quelli privati.
E siccome quasi tutti i lavoratori dipendenti vivono del proprio stipendio, sia pubblici che privati, non c’è da meravigliarsi se un giovane, potendo scegliere, decide di andare a lavorare nel privato, dove è pagato meglio e dove ritiene di poter avere migliori prospettive di carriera.
Ma il problema dell’appetibilità del posto di lavoro pubblico è più complesso, e non si può ridurre al solo dato economico, che è importantissimo ma per il quale sempre questi politici non propongono soluzioni se non il ritorno alle vecchie “gabbie salariali” o al reclutamento su base regionale, che non solo non risolverebbero il problema ma addirittura costituirebbero dei clamorosi limiti ai principi costituzionali di uguaglianza, parità di accesso agli impieghi pubblici e reclutamento dei migliori.
Mettendo infatti da parte per un momento il dato economico occorre dire che non si vive di solo pane, e anche quando si accetta uno stipendio sufficiente a vivere senza particolari lussi c’è un altro aspetto, fondamentale!, che i politici non hanno mai voluto approfondire, probabilmente perché i colpevoli di questo attuale stato di cose invece sono proprio loro.
Stiamo parlando della considerazione sociale del dipendente pubblico.
I politici (proprio quelli stessi che adesso si mostrano preoccupati per questo stato di cose, hanno denigrato per decenni (decenni, non anni!) la pubblica amministrazione e chi la rappresenta sul territorio, fomentando nell’immaginario collettivo una scarsissima considerazione dei dipendenti pubblici e lasciando intendere che il lassismo, quando non addirittura comportamenti illeciti, siano la normalità, cosa che, oggettivamente, invece non trova riscontro nella realtà .
Quale Amministratore delegato di una multinazionale parlerebbe male dei propri dipendenti e dei propri prodotti? Quale generale denigrerebbe i propri soldati? La sua azienda/i suoi superiori ne avrebbero un danno e gli azionisti/comandanti generali lo caccerebbero immediatamente.
I vari politici ed esponenti di spicco dei governi, addirittura i Ministri della Funzione Pubblica (!), invece in questi anni si sono fatti quasi un vanto dell’attaccare i dipendenti pubblici, ovvero proprio i “soldati” che loro dovrebbero organizzare e condurre alla vittoria, sostendendo che i problemi dell’Italia derivassero tutti da questi e dalla loro poca voglia di lavorare .
E batti oggi, e batti domani, questa incredibile e risibile versione dei fatti è stata accettata e ormai fa parte dei luoghi comuni della cultura italiana.
Perché dunque domandarsi come mai un giovane, se appena può scegliere, non vuole diventare dipendente pubblico?
Chi mai vorrebbe essere pagato in modo ingiusto e per giunta considerato un parassita della società? Chiunque, con un minimo di spina dorsale e la possibilità di scegliere, è normale che i giovani evitino l’impiego pubblico!
Se i giovani non vogliono lavorare come dipendenti pubblici dunque il motivo non è solo economico, e non è nemmeno tanto oscuro o colpa della sorte, ma di questa cattiva politica.
Ma come si può porre rimedio a questo stato di cose?
Si inizi a recuperare la dignità del pubblico dipendente e i politici, anziché piagnucolare sull’attuale stato di cose riconoscano le loro colpe e inizino a spiegare a tutti, compresi agli stessi dipendenti pubblici che ormai si sono rassegnati, che essere un dipendente pubblico è un onore e contemporaneamente una responsabilità non indifferente nei confronti della collettività, che si è al servizio del Paese ma che non per questo si può essere offesi impunemente, e quando ciò malauguratamente si verifica occorre punire rapidamente i colpevoli senza “se” e senza “ma”, recuperando quello “status” di pubblico ufficiale” che una volta dava lustro e considerazione.
Occorre mettere i dipendenti pubblici nelle condizioni di rispondere con efficienza e rapidità ai bisogni dell’utenza, modificando l’organizzazione degli uffici e lavorando per obiettivi, dimenticando le rigidità attuali e il vecchio modello di dirigenza, troppo spesso scollegato dalla realtà degli uffici e che non conosce le loro problematiche.
Dunque diciamo ai politici preoccupati: meno lacrime di coccodrillo e mano alla produzione di norme che diano a questo grande Paese la Pubblica Amministrazione e i dipendenti pubblici che si merita.
E si, questo significherà “anche” dare ai dipendenti pubblici una giusta retribuzione, adeguata al ruolo, alle responsabilità e al costo della vita, ma occorre essere coscienti che da sola questa non sarà mai sufficiente a rendere attraente l’impiego pubblico ai migliori.
Chi sceglie di lavorare negli uffici pubblici non sceglie solo un lavoro, ma di essere chiamato a svolgere una missione (perché di questo si tratta), e uno stile di vita che comporta oneri ma anche onori, e non solo economici.
Il responsabile territoriale CISL FP Salvatore Bullara