ASTI – Sono trascorsi 50 anni dall’uscita del singolo “Due delfini bianchi” del gruppo Piero e i Cottonfields. In occasione di questo anniversario, noi di Dentro la Notizia abbiamo incontrato il cantante astigiano Piero Cotto.
Tra aneddoti, ricordi e tanti sorrisi, l’artista racconta del suo attaccamento alla città di Asti che, come una madre, sa riempirlo di affetto ma anche rimproverarlo, se necessario.
La musica, gli amori, le vicissitudini di un uomo che si definisce ironicamente “nato vecchio”: tutto in questa intervista che svela un cantante dalle mille sfumature.
Il gruppo Piero e i Cottonfields nacque nel 1971, formato da artisti astigiani con il produttore “intellettuale” Livio Musso. Nel 1972 partecipò a “Un disco per l’estate” con Due delfini bianchi, sbaragliando tutti gli altri gruppi e cantanti in gara, tra cui I Delirium con Ivano Fossati (Jesahel). L’etichetta era la Joker, della Casa discografica SAAR Srl fondata da Walter Guertler. Il 45 giri anticipò il disco “Il viaggio, la donna, un’altra vita” uscito lo stesso anno. Ma Piero Cotto suonava la chitarra e cantava già da un decennio.
“La mia vita artistica è iniziata a Bologna con il clarinettista/band leader Henghel Gualdi, ma nei primi anni Sessanta cantavo anche con altre ‘signore orchestre’: Assuero Verdelli, Riccardo Rauchi, Paolo Zavallone, Giandarix. Da lì i primi viaggi all’estero, in particolare negli USA con il nome d’arte di Peter Cook. Poi mi fermai in Grecia per alcuni anni. Un Paese meraviglioso: ricordo in particolare i tour con Rocky Roberts, gli 800mila dischi venduti solo lì, i nove mesi in cui sono stato primo in classifica. Nel ’67 mi sposai con una greca, ma l’amore finì presto e tornai ad Asti. In corso Dante aprii un negozio di dischi e fondai il gruppo Piero e i Cottonfields”.
Nel ’75 il gruppo era ormai sciolto, ma Piero proseguì la sua carriera partecipando al festival di San Remo con “Il telegramma”, un brano di Pino Donaggio e Vito Pallavicini (che aveva scritto il testo di Azzurro insieme a Paolo Conte). E poi il salto internazionale.
“Ho vissuto, girato, lavorato in 52 Paesi, vincendo festival internazionali sempre e comunque rappresentando l’Italia. La mia fortuna è di non aver mai avuto bisogno di manager o impresari, ma di aver conosciuto persone speciali. Nel 1975 incontrai Augusto Martelli, figlio del compositore e arrangiatore Gianbruto Martelli. Con Augusto partecipai al festival di Puerto Rico nel 1977, vincendo praticamente tutto: primo premio per canzone, arrangiamento, voce, interpretazione… E così mi sono guadagnato la membership di Unesco, che ‘come un buon vino ha pensato di conservarmi’. Per meriti artistici, tra il 1977 e il 2001 sono stato delegato ufficiale dell’Italia della Fidof, organizzazione mondiale sotto il patrocinio dell’Unesco che patrocina manifestazioni artistiche a carattere benefico. Ci invitavano ovunque”.
Già, “ci invitavano”: Piero parla al plurale perché dal febbraio 1981 la sua vita – personale e artistica – è condivisa con Beatrice Dalì.
“All’epoca avevo un gruppo jazz a Castel San Giovanni di Piacenza; ci esibivamo in un club privato per un pubblico amante del jazz. C’era la necessità di una cantante e arrivò lei per un provino. Aveva vinto il Cantagiro e il Cantasud a pari merito con Michele Zarrillo. Mi piacque subito: molto brava, ma molto più moderna di noi! Era ed è un fenomeno vocale che ama la ballata alla Barbra Streisand e Whitney Houston. Ci siamo confrontati, abbiamo condiviso le nostre esperienze, ci siamo ‘modellati’ fino a fonderci per dare alla musica ciò che merita”.
Lasciatosi alle spalle il secondo matrimonio, Piero infatti ricominciò da zero la carriera artistica con la donna della sua vita, Beatrice.
“Tutto ciò che ho realizzato negli ultimi 40 anni è per lei e con lei. Veramente un grande amore. In Beatrice ho trovato una mamma, un’amica, un amore folle, un sostegno. E poi ha 16 anni in meno, cosa da non sottovalutare. Quando ci conoscemmo rimasi subito incantato dalla sua freschezza: mi sono sentito felice, gratificato. Ci siamo sposati nel ’93, dopo 12 anni di convivenza”.
Fino al 2001, insieme a Beatrice partecipò a numerosi eventi nel mondo, ricevendo importanti riconoscimenti e vincendo 17 primi premi in altrettanti Festival internazionali. Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti, la carriera di Piero Cotto all’estero subì un freno: “Non ci chiamarono per molto tempo, tutti avevano paura di volare e poi i Festival non richiedevano più gli artisti provenienti da altri Paesi”.
Cotto ha pensato più volte anche di smettere di suonare e cantare, ma solo per un motivo preciso. “Dalla vita ho ricevuto quanto potessi realmente desiderare: cantare e avere una famiglia. Pur girando in lungo e in largo, il mio cuore è sempre rimasto ad Asti. Ben 21 traslochi in carriera, ma sono sempre tornato. Non c’è città più bella al mondo: qui sono nato e qui voglio restare. I ricordi di infanzia più belli sono legati a Villa Ottolino, dove lavoravano i miei nonni”.
“A The Voice Senior ero terrorizzato solo per un motivo: temevo il giudizio degli astigiani. Pensavo a cosa avrebbero detto di me. Paradossalmente quando mi esibivo a Los Angeles non mi preoccupavo di niente e nessuno. Rai 1 è un’altra cosa: sapevo che tra i tanti spettatori italiani c’erano gli astigiani e avevo paura di deluderli. Tutti i miei timori sono volati via dalla prima puntata, l’affetto e la stima dei nostri concittadini ci ha commosso e donato una grande forza”.
Un affetto dimostrato ampiamente alla coppia durante il concerto in piazza Cattedrale a luglio, nell’ambito del 25° festival Astimusica.
E ora si pensa al futuro. In programma un nuovo CD, che sarà presentato presumibilmente al Teatro Alfieri a fine anno. “Come già da vari anni, insieme ad alcuni produttori stiamo realizzando un disco il cui ricavato sarà devoluto all’Associazione Missione Autismo (AMA) di Asti. Insieme a noi altri dieci artisti interpreteranno le canzoni contenute nel nuovo prodotto, compresi alcuni cantanti che hanno partecipato a The Voice Senior e che sono diventati grandi amici”.
Chiudiamo l’intervista chiedendo a Piero con chi desidererebbe cantare oggi: “Pur essendo legati da una solida amicizia, diciamo che non ho mai cantato con Paolo Conte e il fratello Giorgio, né ho mai interpretato un loro testo. Giorgia per me è la più brava in Italia, come prima di lei lo è stata Mia Martini. Fausto leali l’ho sempre amato. Patti Bravo ha un grande fascino ed è originale. Andrea Mingardi è un fenomeno. Mi piacciono anche Gigi D’Alessio e Tullio De Piscopo, che non hanno una voce straordinaria ma sono artisti completi. Al Bano ha una grandissima voce, anche se l’interpretazione è un’altra cosa. Personalmente, pur apprezzandone le doti, non canterei con Celentano, Mina, Vanoni.
Ho conosciuto un mondo musicale non italiano, il confronto nasce dunque dalle mie esperienze pregresse”.
“La musica non è ‘cantare bene’. L’esempio calzante è Vasco Rossi: lui ha capito che per avere successo non serve una grande voce, ma lo spirito. A parte che ha scritto canzoni meravigliose più per gli altri che per se stesso, il suo punto di forza è l’emotività, il sapersi avvicinare alla gente di qualsiasi generazione, titolo di studio o ceto sociale. Nella vita un artista può sempre migliorare, ma non va da nessuna parte senza la fiamma della musica, quella che brucia dentro fino a plasmare una personalità unica. Come diceva George Jacob Gershwin, la musica è anche ‘pausa, silenzio, distanza’. È un mondo che hai dentro. La fiamma della musica è l’unico successo a cui un vero artista deve puntare”.
Cristiana