Riceviamo da Piero Fassi, storico patron del “Gener Neuv” e tra gli artefici della rinascita del Palio sul finire degli anni ‘60, un intervento proprio in merito al futuro della corsa settembrina.
Seguo sui giornali la querelle sui Comuni della provincia di Asti alla partecipazione al Palio. Leggendo qualche nota sulla sua secolare e anche travagliata storia ho evidenziato alcune cose, e come comune cittadino amante del Palio mi permetto una ad una riflessione.
1967. Quando l’allora sindaco Giovanni Giraudi pensò di ripristinare la corsa del Palio di Asti, chiese di parteciparvi, oltre ai vari borghi e rioni cittadini, anche a diversi Comuni della nostra Provincia. Erano una decina i borghi che poi, sono diventati 14. Dei Comuni invece alcuni si sono persi per la strada in questi cinquant’anni. Altri si sono giustamente intromessi e partecipano ancora. Conosciamo con tutto rispetto e orgoglio le lodevoli attività di ognuno nel valorizzare il proprio vessillo. La richiesta ai Comuni provinciali, seguiva in linea di massima il vero senso della nostra storica corsa. Ho letto qualche stralcio di notizie ed una mi è stata impressa.
Quando Emanuele Filiberto assunse la reggenza della città (20 maggio 1545), confermò e codificò le antiche consuetudini della festa patronale e si impegnò per sé e per i suoi successori a fornire i Pali: uno di 12 rasi per la Corsa, l’altro di 9 rasi per l’offerta al Santo Patrono. Si legge, inoltre, che potevano presentare cavalli alla Corsa del Palio «tanto la città di Asti, che tutte le Chiese della medesima, comprese tanto quelle de’ Regolari quanto delle Confraternite, Collegio, Università, Società e cittadino della medesima, tanto a nome proprio che di dette Chiese e Cappelle, il tutto conforme all’antico stile, consuetudini e privilegi di detta Città».
Un sogno che potrebbe diventare realtà se Asti aprisse gli occhi, le menti e anche le braccia per un Palio più aperto ancora. Utopia, si, ma non troppa. Esagero? Si, ma non troppo! Quante città hanno iniziato a costruirsi eventi che oggi sono conosciuti non solo in Italia ma in mezzo pianeta. Il nostro Palio “aperto”, coltivandolo con una certa passione espansiva, ha tutte le carte in regola per diventare un grande evento. Per questo (che è solo un sogno), mi sento arrivare addosso pietre da ogni borgo o rione astigiano. La reazione potrebbe essere logica se non fosse la storia a ricordare e farne discutere. Si, già dal primo anno della rinascita si poteva chiudere i partecipanti ai soli astigiani residenti nelle loro mura. Ma non è stato così.
Penso che vedere ad un tavolo rotondo il Consiglio del Palio incominciare almeno a discuterne su un Palio aperto sarebbe già bello, con un finale che risulti “una bella festa” come dice la storia. Asti è sempre stata città di corse di cavalli. La piazza d’Armi di oggi era piazza dell’Ippodromo di Asti. Noi astigiani è certo un po’ di rabbia la “sentiamo”. Anche il nostro astigiano Maestro del Palio Antonio Guarene, sapendo che i suoi due Palii disegnati 2011 e 2018 sono finiti in due Comuni e non in Asti, sono certo che le punta delle dita (non la punta della sua fantastica matita) se le rosicchia un pochino.
Infine, sempre a quel tavolo rotondo del Consiglio del Palio, potrebbe nascere l’idea di farne due all’anno. Il primo a maggio nelle Feste patronali, il Palio aperto (come dice la storia) e il secondo, nel mese settembrino astigiano con la Douja, Sagre per i soli borghi astigiani.
Lo spettacolo di una delle più belle corse di Palio con cavalli montati a pelo, nella bella piazza Alfieri di Asti, territorio di vigne, gastronomia, musei diventerebbe un punto turistico (ne abbiamo bisogno) certo, tra i più belli non solo del Piemonte. Senza sognare ne esagerare.
VIVA IL PALIO DI ASTI, sempre, comunque sia.