ASTI – Dieci classi dell’Artom questa mattina, mercoledì 6 marzo, hanno incontrato il noto giornalista astigiano Domenico Quirico per confrontarsi con lui sul tema delle migrazioni. L’incontro è inserito in uno dei percorsi di Cittadinanza proposti dai docenti che hanno attivato progetti incentrati sul tema delle migrazioni e delle guerre.
Il Dirigente Calcagno Franco salutando i ragazzi e ringraziando l’ospite, ha sottolineato l’importanza dei temi trattati: “L’immigrazione è una realtà e deve essere vista come un’opportunità e non come un problema, chiudere le frontiere non è e non è mai stata una soluzione. Ovviamente una situazione da gestire con la cultura dell’accoglienza e la capacità di integrazione di cui il nostro paese ha dato numerose prove in passato. Certamente il fenomeno non è solo italiano e la sua globalità la si osserva quotidianamente. I nostri studenti sono stimolati all’attenzione da tanti fattori, non ultimo il fatto concreto di avere compagni, vicini di banco provenienti da altri paesi e con i quali convivono e studiano quotidianamente”.
Circa duecento, tra studenti, studentesse e i loro docenti, hanno seguito, catturati dal carisma di Quirico, il racconto della sua esperienza a Lampedusa. Partito nel 2011 dal porto di Zarzis, in Tunisia, attirato dal numero considerevole di giovani che ogni giorno si imbarcavano per Lampedusa, decide di affrontare con loro il viaggio. Quirico è curioso, vuole capire e sa che l’unico modo per scoprire il motivo del viaggio è percorrerlo con loro. Con estrema facilità intercetta un trafficante a cui paga i 1000 euro dovuti per la tratta, cifra spropositata per un tunisino medio, e intraprende il viaggio su un vecchio peschereccio di 11 metri. Con lui ci sono altri 112 ragazzi. Non c’è uno scafista a bordo, a condurre la nave c’è un giovane meccanico capace di riparare il motore dell’imbarcazione fino a quando questo non scoppia e prende fuoco. Sarebbero morti tutti se un elicottero non li avesse visti e salvati. Una a volta a Lampedusa i destini di Quirico e degli altri 112 prendono strade diverse.
Quirico intraprende quel viaggio perché intuisce che è l’unico modo che possa permettergli di capire davvero che cosa significhi migrare e perché è l’unico modo che conosce per svolgere il proprio lavoro: scrivere di ciò che ha vissuto e di cui ha fatto esperienza sulla propria pelle. Nella consapevolezza, però, che il viaggio dei migranti non inizia al porto di Zarzis e non finisce sulla terraferma: peregrineranno ancora a lungo in vari centri di accoglienza. L’esperienza che Quirico ha fatto è vera e parziale: la sua condizione di occidentale non gli permette di vivere nella totalità l’esperienza della migrazione.
Chi è il migrante? Questo hanno chiesto i ragazzi con semplicità.
Quirico ha risposto: “Il migrante è colui che cerca di mettere in atto un principio delle costituzioni occidentali, è colui che ricerca la felicità rischiando anche la propria vita”.
Un’altra domanda riguarda la sua esperienza in Siria. Per Quirico la possibilità della detenzione fa parte del suo mestiere di inviato di guerra: è stato prigioniero in Congo, in Kenia, in Libia e in Siria, ha subito due mancate esecuzioni. Dopo aver visto la morte in faccia può affermare: “Sono morto e risorto”, spiega ai ragazzi, “non ho più paura”. Se si vuole raccontare la guerra, l’unico modo per farlo è viverla a fianco delle persone coinvolte, delle vittime, di chi è nato dalla parte sbagliata del mondo.
Un racconto necessario, vero, senza retorica. I ragazzi hanno capito grazie alle parole di Quirico che per raccontare le tragedie degli uomini travolti dalla sofferenza occorre essere rimasti al loro fianco, aver condiviso un pezzo del loro viaggio.