Azienda di Asti condannata per discriminazione di genere

Aveva ridotto del 60% il premio a un dipendente in congedo di paternità. La Cgil ha vinto in tribunale

ASTI – Con un decreto del 7 dicembre scorso il Giudice del Lavoro del Tribunale di Asti Elisabetta Antoci ha dichiarato la natura discriminatoria di un accordo aziendale sul premio di risultato che aveva stabilito la riduzione dell’incentivo per assenze dovute a “maternità e paternità facoltativa”.

Il caso, sottoposto al vaglio del Foro astigiano, era quello di un papà che, avendo usufruito nel  2018 di un periodo di astensione per congedo parentale, si era visto riconoscere un premio di risultato decurtato di oltre il 60%, in quanto l’accordo istitutivo del premio indicava quali ragioni di una riduzione dello stesso le assenze dovute a malattia, infortunio causato da mancato uso dei dispositivi di protezione individuale, aspettativa non retribuita e, dulcis in fundo, maternità e paternità facoltativa.

In base all’art. 38 del Codice delle Pari Opportunità (D. Lgsl. 198/2006), il Giudice Antoci ha però dichiarato discriminatorio quanto stabilito dall’accordo aziendale; inoltre, ha stabilito che lo stesso violava l’art. 25 comma 2-bis dello stesso Codice nel quale si afferma che “costituisce discriminazione (…) ogni trattamento meno favorevole in ragione dello stato di gravidanza, nonché di maternità o paternità, anche adottive, ovvero in ragione della titolarità o dell’esercizio dei relativi diritti”.

«Si tratta di un articolo importante – ha affermato Massimo Padovani, legale della Camera del Lavoro di Asti – in quanto ha introdotto nel nostro ordinamento un nuovo fattore di protezione che consiste nello status di “genitore”, fattore diverso e trasversale rispetto alla discriminazione basata sull’appartenenza ad un determinato sesso».

L’interpretazione del Giudice è stata contestata dai legali dell’azienda, secondo i quali il Codice delle Pari Opportunità fa riferimento esclusivamente alle discriminazioni fondate sul genere: per questa ragione, dunque, il comma 2-bis dell’art. 25 sarebbe da intendersi sempre e comunque applicabile a discriminazioni in rapporto al genere dettate da ragioni di maternità o paternità, ma comunque sempre di “genere”, sottolineando in tal modo che tutti i precedenti giurisprudenziali hanno avuto ad oggetto discriminazioni nei confronti delle lavoratrici madri.

Il Giudice, invece, accogliendo la tesi del lavoratore, ha evidenziato come tale comma è stato introdotto nell’impianto originario del Codice delle Pari opportunità con il D. Lgsl. 5/2010 (che recepiva la Direttiva 2006/54/CE) che, nei “considerando” e negli artt. 9, 15 e 16,  fortifica l’interpretazione letterale della norma e cioè che il divieto di discriminazione per ragioni connesse al sesso è esteso anche alla genitorialità: lo status di genitore viene, dunque, considerato un fattore autonomo di protezione dell’ordinamento vigente.

Nel caso specifico il Giudice ha, inoltre, confermato che si è trattato di discriminazione diretta in quanto la regola della riduzione del premio per assenze per maternità o paternità facoltativa colpisce direttamente i lavoratori appartenenti alla categoria protetta e cioè i lavoratori “genitori”.

«La pronuncia di questa sentenza – ha dichiarato Luca Quagliotti, Segretario Generale della Cgil di Asti – rappresenta una novità in quanto riguarda un papà discriminato, non solo, l’interpretazione del  Tribunale di Asti aderisce in pieno con gli obiettivi del modello sociale europeo, che prevede la ridistribuzione equilibrata tra i sessi delle responsabilità nella famiglia, e con le misure rivolte ad incoraggiare la partecipazione degli uomini alle funzioni genitoriali».

«Ci auguriamo – ha proseguito Quagliotti – che questa sentenza agevoli l’uso dei congedi parentali da parte dei papà che, troppo spesso, si sentono discriminati nel momento in cui provano a far valere un loro diritto e, di conseguenza, rinunciano al congedo a favore delle madri, con un danno per entrambi».

I dati sull’occupazione sono, infatti, emblematici: su 101.000 posti di lavoro in meno a dicembre 2020 rispetto mese precedente, ben 99.000 riguardano le donne, il 98% del totale. «Siamo una società matriarcale – ha concluso Quagliotti – ma è ora di cambiare, perché solo con la piena uguaglianza nei posti di lavoro il nostro Paese potrà migliorare sotto il profilo economico e sociale».

 

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