Dai dati diffusi dall’Istat solo due giorni fa, in Italia la crescita economica è ferma. Siamo in un momento di complessiva stagnazione. Il PIL è fermo nel secondo trimestre, sia rispetto ai tre mesi precedenti sia su base annua. A confermare la fase di incertezza, un’inflazione scesa a luglio allo 0.5%. Buone notizie invece dalla disoccupazione, che a giugno è calata per la quarta volta di seguito, arrivando al 9.7%, il livello più basso dal 2012.
La situazione astigiana
La CGIL di Asti ha commissionato all’Istituto di Ricerca “Ires Lucia Morosini” un’analisi economica e sociale finalizzata a verificare lo stato di salute della nostra provincia. I risultati della ricerca sono stati presentati nel corso di una conferenza stampa da Francesco Montemurro (direttore Istituto Ires), autore dello studio insieme a Valerio Porporato. Presenti anche Luca Quagliotti (segretario generale CGIL) e Mamadou Seck (segretario generale FIOM/CGIL). Nel contesto generale, dopo una fase di ripresa, nel 2017-2018, il Piemonte si è allontanato dalle altre regioni del Nord, in modo particolare per quanto riguarda gli indicatori di ricchezza: PIL e Valore aggiunto. Per quanto riguarda Asti, la situazione è ancora più preoccupante: la provincia non gode di buona salute, soprattutto sotto il profilo occupazionale e reddituale.
I dati macroeconomici
La congiuntura astigiana presenta problematiche serie: sia nell’ultimo trimestre del 2018 sia nel primo trimestre del 2019, la produzione manifatturiera si è contratta in tutti i settori industriali a eccezione dell’alimentare, dove la crescita è stata piatta; inoltre, sono diminuiti il fatturato e gli ordinativi. A inizio 2019 sono calate le assunzioni nelle industrie astigiane, con una riduzione del 20,8% dei nuovi contratti. Le previsioni di investimento sono in calo in tutte le aree piemontesi, ma il dato è più marcato nella provincia di Asti (dal 33,3% al 23,1%) rispetto alla media regionale (dal 31,1% al 25,5%). Dai dati del 2016, dal confronto tra province rispetto al PIL pro capite a parità di potere d’acquisto, Asti risulta la penultima provincia piemontese, con un valore di 3.300 euro inferiore alla media regionale. E con un +1,8% rispetto al 2017, si è posizionata anche nel 2018 al penultimo posto tra le province piemontesi, con un valore aggiunto per abitante di 23.271 euro. Il tessuto produttivo astigiano è dominato dalle micro-imprese, con rischi per la produttività e la tutela sul posto di lavoro. Le retribuzione media oraria nelle imprese private astigiane è tra le più basse della regione (13,6 euro lordi/ora rispetto a 14,6 euro lordi/ora). In particolare, è inferiore a tutte le province a eccezione del Verbano-Cusio-Ossola: come per il PIL e il valore aggiunto, Asti si colloca al penultimo posto. Siamo inoltre tra le ultime province in Italia nella creazione di nuovi laureati: nel 2016 Asti si colloca al 102° posto, tra le 110 province italiane, con un tasso di 59 per 1.000 residenti. La formazione professionale: la nostra città è maglia nera nel 2017, distinguendosi, in negativo, per la più bassa percentuale della Regione (26,6% rispetto a quella regionale complessiva del 30,5%).
Bassa remunerazione del fattore lavoro: Asti è al terzultimo posto in questo indicatore che esprime l’incidenza delle retribuzioni sul valore aggiunto, pari, nel complesso di tutte le attività produttive, al 38,5%. La nostra provincia si distingue per una complessiva immobilità dell’offerta di lavoro, se valutata su base decennale. Rispetto al 2008, il suo tasso di attività, considerando soltanto gli individui tra 15 e 64 anni, è rimasto quasi immobile, a fronte di una crescita regionale di 3,2 punti. Il suo tasso di occupazione, inoltre, è diminuito di 2,5 punti percentuali, collocandosi al 64% nell’ultimo anno di rilevazione, ovvero nella posizione più bassa tra le province piemontesi. Il tasso di occupazione dei giovani 15-29enni del Piemonte è sceso dal 52,8% del 2004 al 42,8% del 2011 fino al 37,1% rilevato nel 2018. Il 27,2% degli occupati della provincia di Asti sono lavoratori indipendenti: una percentuale in forte calo nell’ultimo triennio, all’inizio del quale raggiungeva il 32,4%.
Non mancano i punti di forza, in particolare l’elevata performance dell’industria agro-alimentare e il discreto peso del valore aggiunto prodotto dal manifatturiero. La produzione agricola è cresciuta nell’arco dell’ultimo decennio ma, in conclusione, i risultati dello studio presentano una situazione a cui occorre porre rimedio.
«I dati emersi sono rilevanti – ha detto Quagliotti – per una provincia in cui si dovrebbe star bene. O tutti gli attori del territorio decidono di mettersi insieme, creando una politica comune, oppure la situazione peggiorerà ancora».