Tra i duellanti, tifiamo per l’arbitro super partes
Quando, nell’aprile del 2013, enunciando a Camere riunite il discorso di accettazione del suo secondo mandato presidenziale, il Presidente Emerito Giorgio Napolitano sferzò con parole durissime l’incapacità della classe politica di convergere su un’altra figura, l’intero emiciclo applaudì.
Il navigato uomo politico li stava “strigliando”, mettendoli di fronte ai loro limiti, e loro applaudivano con convinzione. In quell’occasione molti pensarono di stare assistendo alla pagina più mesta della storia repubblicana, ma è purtroppo notorio che non c’è limite al peggio.
Infatti, per far spingere il Movimento 5 Stelle e la Lega a tentare di formazione un governo e far uscire il Paese dallo stallo in cui è entrato la sera del 4 marzo, è servito che il presidente Mattarella pronunciasse un discorso, tanto breve quanto politicamente incisivo, con il quale ha sostanzialmente rimarcato la totale delegittimazione dell’intera classe politica italiana, offrendo a lor signori tre opzioni: accordo per un governo politico, un “governo neutrale” o nuove elezioni.
E sottolineando, con riferimento a quest’ultima ipotesi, che “Sarebbe la prima volta nella storia della Repubblica che una legislatura si conclude senza neppure essere avviata. La prima volta che il voto popolare non viene utilizzato e non produce alcun effetto”. In sostanza, l’inquilino del Colle li ha “commissariati”.
Viste le numerose spade di Damocle che gravano sul Paese (dall’aumento dell’IVA a speculazioni finanziarie sui Mercati), metto a punto un piano B (appunto il governo neutrale) in grado di disinnescare le molte mine sul nostro cammino. Una decisione che è altresì un’ennesima attestazione – stavolta “in punta di Diritto”, come lecito attendersi da un insigne giurista qual è Mattarella – dello scollamento sempre più preoccupante tra la politica ed i problemi del Paese reale.
Che trova conferma anche nel fatto che ormai, in prospettiva, conviene di gran lunga “chiamarsi fuori” (vedasi, giusto per citare un paio di nomi, Di Battista e Calenda) piuttosto che “sporcarsi le mani” cercando di governare.