Un convitato di pietra grava sull’Italia: l’aumento dell’IVA
Mentre (tra un tweet, un post su Facebook e un’intervista in diretta su Rai Uno, nonostante l’intervistato si fosse detto intenzionato a “non parlare” per tre anni) i protagonisti della politica continuano a rimpallarsi responsabilità e porre veti che rendono difficile, per non dire impossibile, anche soltanto immaginare uno spiraglio in grado di portare alla formazione di un nuovo governo, su tutti noi incombe un gravoso “convitato di pietra”, ovvero l’Iva.
O, per essere più precisi, lo spauracchio di un ulteriore aumento dell’Imposta sul valore aggiunto che, se il nuovo Governo (quando mai ce ne sarà uno) non sarà in grado di trovare coperture per 12,5 miliardi di euro nel 2019 e 19,1 miliardi di euro nel 2020, lieviterà a partire dal primo gennaio 2019 iniziando un “cammino” che la porterà, nel 2021, a toccare quota 25%. Ovvero un quarto del valore del bene su cui verrà applicata.
Un incremento che non lascerebbe intatta neppure l’aliquota Iva agevolata, che passerebbe dal 10% all’11,5% fino a toccare, dal gennaio 2020, quota 13%. In sostanza, un probabile ulteriore salasso che colpirà indiscriminatamente tutto e tutti, con aumenti considerevoli per ogni bene, servizio o prestazione. Il tutto a causa di una delle molteplici “clausole di salvaguardia” che l’Italia ha sottoscritto con l’Unione Europea in conseguenza del proprio enorme buco di bilancio.
Un problema ragguardevole – che, secondo uno studio de Il Sole 24 Ore, comporterebbe un incremento di spesa medio pari a 317 euro per famiglia – che denota ancora una volta come il percepibile “impoverimento” del Paese non sia dovuto tanto a sprechi e caste (con c o k a piacere) assortite, quanto piuttosto all’assenza di leadership forti in grado di risollevare un’economia sempre più (ed ormai da troppo tempo) asfittica.
Con la conseguenza che l’Iva – così come, ad esempio, le accise sui carburanti – finisce per rappresentare un ennesimo fardello. Ben più pesante di quello che grava, per restare nella UE, sulle spalle dei tedeschi (imposta al 19%), dei francesi (al 20%) o degli spagnoli (21%). Un valido motivo in più per dare, al più presto, una svolta alla perdurante impasse politica.