Ventisei ordinanze di custodia in carcere per infiltrazioni ‘ndranghetiste nell’Astigiano
Gli arresti, eseguiti all’alba di ieri, hanno chiuso una articolata attività d’indagine protrattasi per oltre due anni
COSTIGLIOLE D’ASTI – Molti astigiani, questa mattina, sono stati svegliati dal rumore delle pale degli elicotteri dell’Arma dei Carabinieri che, dalle prime luci dell’alba, hanno dato esecuzione alle 26 ordinanze di custodia cautelare in carcere (cui vanno sommati 48 denunce a piede libero e ben 78 perquisizioni domiciliari), emesse dal Giudice per le Indagini Preliminari presso il Tribunale di Torino nell’ambito della “Operazione Barbarossa”. Nome in codice di un’attività d’indagine che ha tenuto a lungo impegnati i militari del Nucleo Investigativo dell’Arma astigiana, coordinato dall’ottobre scorso dal maggiore Lorenzo Repetto.
L’indagine ha però preso il via molto prima, ovvero nel maggio 2015, quando il Nucleo era guidato dal tenente colonnello Marco Pettinato, attuale comandante del Reparto operativo di Cuneo. E proprio il succedersi, sia pur nella continuità dell’indagine, degli investigatori che vi hanno lavorato rende l’idea della portata dell’inchiesta.
Che ha consentito di sgominare una ramificata associazione a delinquere di stampo mafioso (per la precisione, una “locale” ‘ndrina della ‘ndrangheta calabrese), operante in gran parte del nord Italia ma con basi ben salde tra Asti, Costigliole d’Asti e Alba. Dove risiedeva Rocco Zangrà, ritenuto dagli inquirenti l’elemento di collegamento tra la ‘ndrina costigliolese e le cosche calabresi del vibonese.
Un gradino sotto di lui nella “gerarchia” del sodalizio criminale stavano, sempre secondo quanto appurato dai carabinieri e dai magistrati della DDA (Direzione Distrettuale Antimafia) di Torino che hanno coordinato l’indagine non appena sono emersi inquietanti collegamenti con le “famiglie” delle cosche calabresi, i membri di tre famiglie residenti nell’astigiano: i Catarisano (Giuseppe e suo figlio Ferdinando), gli Emma (Vincenzo, Enea Adriano e Giuseppe) e gli Strambè (Michele, Angelo, Salvatore e Daniele).
Tutti destinatari di ordinanze di custodia cautelare in carcere per associazione a delinquere di stampo mafioso e ritenuti responsabili di una serie di reati che comprendono un omicidio (quello del 53enne Luigi Di Gianni, detto “Gino di Foggia”, ucciso a fucilate di fronte alla sua abitazione nel gennaio 2013 e per il quale sono a giudizio Ferdinando Catarisano e suo cugino Ivan Commisso), che gli inquirenti ritengono commesso a titolo di “prova di forza” dell’organizzazione; due tentati omicidi non portati a termine solo per intercessione delle cosche calabresi; rapine; estorsioni a danno di decine di imprenditori della zona, con tanto di intimidazioni a colpi d’arma da fuoco a danno di un bar e di un’azienda vitivinicola di Costigliole d’Asti; furti in abitazioni; traffico di stupefacenti e di armi (queste ultime, destinate alla Calabria per esigenze locali dell’associazione).
Senza trascurare un aspetto forse ancor più inquietante, ovvero le infiltrazioni in diverse attività economiche locali operanti nel settore edile (“Concretocem di Govone e “Mercurio Calcestruzzi” di Castagnole delle Lanze), agricolo-commerciale (l’ingrosso di frutta e verdura Giacosa di Isola d’Asti) e società sportive (Asti Calcio, Pro Asti Sandamianese, US Costigliole Calcio e Motta Piccola California) che gli inquirenti ritengono fossero controllate in toto dalle famiglie che componevano il sodalizio.
Per accedere al quale, ci si doveva sottoporre a una cerimonia di affiliazione con tanto di bruciatura di un santino di San Michele Arcangelo e una “offerta di sangue” a suggello del patto. Un rito arcaico. Anomalo tanto quanto, agli occhi di molti e fino alla evidente prova contraria conseguente questi arresti, l’ipotesi di infiltrazioni ‘ndranghetiste nel nostro territorio.
Un pericolo che l’avvocato Alberto Pasta, da sempre molto impegnato nell’ambito della società civile, denunciava da tempo:
Quando ho saputo la notizia, sono stato colto da un’incredibile senso d’amarezza. Io, sulla base di atti processuali, mettevo in guardia già in tempi non sospetti: drizzate le antenne, guardatevi in casa perché la ‘ndrangheta è un fenomeno pericolosissimo, che si insinua nel tessuto economico del territorio. Ma nessuno, ad eccezione delle forze dell’ordine cui va naturalmente anche il mio plauso, ha “alzato le barricate” per cercare di contrastare il fenomeno.
Ma, tornando all’attività che ha visto impegnati oltre 300 carabinieri, un elicottero dell’Arma, 4 unità cinofile antidroga, due unità di ricerca esplosivi e una squadra della Compagnia di Intervento Operativo (C.I.O.) del 3° Reggimento Carabinieri Lombardia, è doveroso citare anche i nomi degli altri arrestati, ovvero Franco Marino, Luca Scrima, Bruno Agostino, Fabio Biglino, Salvatore Carè, Santo Giuliano Caruso, Gianpiero Conti, Mattia Pisano, Ivan Venturelli, Alberto Ughetto, Massimo Pugliese, Rosario Sette, Gianfranco Guzzetta, Mauro Giacosa, Gaetano Parrucci e Agim Lema.
Ricordando, infine, che nel corso delle indagini sono stati complessivamente sequestrati: 21 fucili di grosso calibro; 16 pistole, revolver e relativo munizionamento; 350 proiettili di vario calibro; 10 chili di marijuana; 100 grammi di cocaina e altrettanti di hashish.